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di Giuseppe Longo
Si chiama “Tita Gori 150” il progetto messo a punto dal Comune di Nimis per rendere omaggio, a un secolo e mezzo dalla nascita, al grande pittore che lasciò molte opere nelle Chiese del paese pedemontano, ma anche in altre località friulane e slovene. L’opera principale oggi è custodita nell’antica Pieve dei Santi Gervasio e Protasio, mentre il ciclo pittorico più ampio si trovava nella comparrocchiale di Santo Stefano, purtroppo demolita in seguito al terremoto del 1976. La precedente iniziativa con cui la Civica amministrazione aveva onorato l’illustre figlio di Nimis era stata promossa in occasione del cinquantesimo anniversario della morte, avvenuta nel 1941, ma che fu coronata soltanto nel 1993 con la stampa per i tipi delle Arti Grafiche Friulane di un bel libro, “Tita Gori e i Giardini del Paradiso”, del giornalista e raffinato critico d’arte Licio Damiani (Premio Epifania 2020), con la mia premessa, quale amministratore comunale – fotografie di Marco Codutti e Bruno Fabretti, progetto grafico Silvia Toneatto -, e con la prefazione di Gian Carlo Menis che, all’epoca, era direttore del Centro regionale di catalogazione e restauro di Villa Manin di Passariano, istituto che, dopo il sisma, si prodigò per il recupero e la salvaguardia del vasto patrimonio artistico danneggiato, più o meno gravemente, da quelle scosse che sconvolsero mezzo Friuli. Come, appunto, Nimis e le sue bellissime Chiese.
La Pieve ai tempi di Tita Gori.
«A 150 anni dalla nascita del pittore nimense Tita Gori – scrive, infatti, l’assessore Serena Vizzutti – l’Amministrazione vuole rendere omaggio all’artista con il Progetto “Gori 150” realizzato dall’Assessorato alla Cultura in collaborazione con la famiglia Gori, la Biblioteca Comunale e con le Scuole Secondarie di Primo Grado di Nimis, a lui intitolate, e con il supporto professionale per il web e i social media di Claudio Marchiondelli. Nei prossimi giorni sarà on-line il sito dedicato all’artista, che ha operato in Friuli a cavallo tra 1800 e 1900, e che ha arricchito di sue opere le Chiese del nostro Comune, prima fra tutte la Pieve di Santi Gervasio e Protasio, e del Friuli Orientale arrivando anche in Slovenia».
Ma come si sostanzierà il progetto? «Verrà ripercorsa la sua vita – spiega ancora l’esponente della Giunta guidata da Gloria Bressani – tra cenni biografici e aneddoti raccontati dai familiari aiutati da fotografie e documenti che aiuteranno a rivivere l’antico borgo di San Gervasio dei primi del ‘900. Proprio nella storica Chiesa sarà allestita la mostra dei lavori artistici dei ragazzi della scuole secondarie di Nimis che, guidati dalla loro insegnante professoressa Eva Monai, hanno fatto un viaggio tra la vita e le opere di Tita Gori ispirandosi».
«Quello di Gori – scriveva nella bellissima monografia Licio Damiani – non è un realismo drammatico che nasce dall’analisi delle difficili condizioni storiche e sociale di una gente. Non è, la sua, una pittura-verità, la pittura-documento dei naturalisti, carica di intenti di denuncia, rivelatrice di brutalità e miserie. E’ il realismo, invece, che scaturisce dal sogno, o dall’illusione, di un rapporto armonioso fra l’uomo, la terra, la natura; un realismo che ha come fondamento un innocente spirito religioso, capace di appianare le fratture esistenziali e di raggiungere un equilibrio senza tensioni. Appare evidente, da tale premessa, come l’opera di Gori viva in un clima artistico-intellettuale conosciuto, nella prospettiva storica, come “preraffaellismo”. Un movimento nato a Londra una ventina di anni prima della venuta al mondo di Tita Gori, il quale prendeva a modelli «vecchi montanari e barbuti mendicanti, donne giovani e anziane, e frotte di bambini del paese, mentre per le Madonne sceglieva preferibilmente la propria sposa». E in che cosa si traducevano? «I dipinti di Tita Gori – sono ancora le parole di Damiani -, tutti di soggetto sacro, hanno la freschezza aspra e lieve delle fioriture primaverili. Le sue opere ornano moltissime Chiese del Friuli. Modesto pittore campagnolo, amava definirsi. Certamente fu il più sensibile alle istanze locali fra gli artisti della sua epoca, in quanto attentissimo a cogliere il sentimento vivo di religiosità semplice, umile, a interpretare l’animo della propria gente, in mezzo alla quale scelse di vivere. La pittura di Gori sembra davvero tradurre figurativamente il detto evangelico sui gigli dei campi e sugli uccelli dell’aria, sull’abbandono totale a una fede sgorgante purissima dal cuore. Tutto ciò si risolve in immagini morbide, sgargianti, dai tratti come pastellati, sboccianti tuttavia su un fondo di solido realismo “paesano”».
Un lavoro di ricerca, quello del giornalista udinese, lodato con convinzione da Gian Carlo Menis: «Finalmente – scriveva infatti l’illustre studioso dell’arte – una monografia sistematica e completa su Tita Gori: un fantastico pittore del Friuli quasi ignorato alla letteratura critica! Essa è dovuta all’indagine puntuale e alla magica penna di Licio Damiani, esperto conoscitore dell’arte friulana dei nostri tempi. Gliene siamo sinceramente grati, perché così viene riscattata dall’ombra una delle figure più singolari della cultura artistica locale nell’ultimo secolo, ingiustamente classificata come attardata espressione del romaticismo decadente».
Un nuovo doveroso omaggio, dunque, a Tita Gori, che rappresenta una sorta di ulteriore risarcimento per quanto è stato perduto della sua arte. Nella premessa del citato libro infatti scrivevo: «… è il minimo che Nimis potesse fare per rendere, almeno in piccolissima parte, giustizia a un figlio che tanto ha lasciato al suo paese, e non solo come pittore, ma la cui memoria è stata ferita dalla perdita irrimediabile, in seguito al terremoto del 1976, di una cospicua parte dei suoi splendidi affreschi: quelli della Chiesa di Santo Stefano in Centa». Ma quel volume sarebbe stato una importante testimonianza non solo di quanto Nimis e il Friuli abbiano perso, ma «anche di quanto ancora nei nostri paesi viva dell’arte di Tita Gori. A cominciare proprio dalla sua Nimis e dall’antica Chiesa matrice nella quale crebbe in quella Fede che gli avrebbe guidato la mano geniale. Quella che ha saputo interpretare con semplicità d’animo, delicatezza e senso poetico scene della Bibbia e dei Vangeli che ci hanno aiutato a pregare». Parole scritte 27 anni fa, ma che sono sempre attuali. Per cui va indubbiamente definita più che lodevole, anzi meritoria, questa iniziativa dell’attuale Amministrazione civica dedicata al grande, indimenticabile pittore con il progetto “Tita Gori 150”.
(1 – continua)
La distrutta Chiesa di Santo Stefano.
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In copertina, un ritratto del pittore Tita Gori (Nimis 1870 – 1941).
(All’interno foto di Giuseppe Brisighelli e Bruno Fabretti)