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di Giuseppe Longo
Solennità dei Santi Patroni, Gervasio e Protasio, oggi a Nimis, con Messa alle 11 sulla piazza dedicata al cardinale Ildebrando Antoniutti, sotto il millenario campanile che come ogni anno il borgo ha imbandierato. Un anticipo della celebrazione di domenica prossima, quando ci sarà, presente l’arcivescovo di Udine, la presentazione del nuovo parroco titolare di Nimis e Torlano, don Federico Saracino, che condividerà la guida della comunità cristiana con l’attuale arciprete, monsignor Rizieri De Tina, il quale anziché ritirarsi per limiti d’età si è offerto di rimanere in paese per occuparsi della pastorale. Ma non sarà la Chiesa matrice – come tradizione vorrebbe – a ospitare l’importante cerimonia, bensì la comparrocchiale di Santo Stefano. Soltanto l’ampiezza del Duomo assicura, infatti, quel distanziamento sociale oggi raccomandato a causa dell’emergenza sanitaria.
Ma torniamo alla festa odierna che, invece, ha al centro la storica Chiesa, le cui radici affondano addirittura nel VI secolo dopo Cristo, in epoca longobarda. La Pieve oggi è l’edificio sacro che conserva l’opera più imponente di Tita Gori, l’artista vissuto proprio all’ombra del vetusto edificio e che restaurò gli affreschi antichi danneggiati e integrò con alcuni cicli pittorici le aree rimaste prive di raffigurazioni di personaggi ed episodi religiosi dell’Antico e del Nuovo Testamento. Come riferivamo domenica scorsa, il Comune di Nimis ha messo a punto il progetto “Tita Gori 150”, ricorrendo proprio un secolo e mezzo dalla nascita del pittore che abbellì anche altre Chiese del centro pedemontano, ma non solo.
“I ventiquattro medaglioni, raffiguranti santi e martiri, negli intraddosi della Chiesa dei Santi Gervasio e Protasio, a Nimis, vanno letti – scrive Licio Damiani nel libro “Tita Gori e i Giardini del Paradiso”, pubblicato dalla civica amministrazione nel 1993 a ridosso del cinquantesimo anniversario della morte dell’artista – come paradigmatici della poetica e delle scelte stilistiche di Gori. In quelle gamme policrome di volti, che ornano il tempio come serti fioriti per una festa campestre da Corpus Domini, colpiscono, in particolare, alcune figure”. Ed ecco, allora, Santa Valeria, Maria Maddalena, Santa Cecilia, una vecchia Elisabetta, Sebastiano e Santa Caterina. Ma anche i Santi Lorenzo, Isaia, Geremia ed Ezechiele.
Un complesso lavoro cui Tita Gori diede inizio nel 1897. “Un anno prima – annota ancora Damiani – il paese era stato messo in grande fermento dalla scoperta di antiche pitture appartenenti a epoche diverse, con spiccata prevalenza di testimonianze quattrocentesche. Le pareti, nel Settecento, erano state coperte da spesse mani di calce, come usava allora per combattere le epidemie. Pazienti restauri vennero condotti sotto la guida del conte Giuseppe Uberto Valentinis, di Tricesimo, precursore nella tutela e nella valorizzazione del patrimonio artistico locale”. E ancora: “L’impegno tecnico del recupero degli affreschi era stato affidato al Gori, cui toccò pure il compito di integrare le parti mancanti. Tra il 1897 e il 1898 questi dipinse perciò, negli intraddossi degli archi, i ventiquattro medaglioni dei santi e dei martiri, nonché ventotto figure del Vecchio Testamento e altri medaglioni nella parte laterale del coro”.
La Pieve fu sottoposta a un nuovo generale restauro nei primi anni Sessanta, promosso proprio dal ricordato cardinale Antoniutti. Fu rimosso il vecchio altare con i martiri Gervasio e Protasio e al posto del Trionfo dell’Agnello di Tita Gori venne realizzato un grande mosaico su disegno di Fred Pittino. Pochi anni dopo, anche la Chiesa matrice rimase gravemente danneggiata in seguito al terremoto del 1976, tanto che si rese necessario un grande lavoro per salvaguardare sia gli affreschi del Gori sia quelli antichi. Il restauratore Renzo Lizzi di Artegna – che poi si sarebbe occupato anche del Santuario di Madonna delle Pianelle e recentemente pure del maestoso altare del Meyring, in Duomo – applicò una innovativa tecnica con la rimozione delle pitture dai muri, al fine di consentire il consolidamento antisismico delle strutture, procedendo quindi alla loro ricollocazione nelle stesse aree già occupate. Un intervento paziente e complesso, portato a termine già nel 1978, che ha permesso di salvare il ricco patrimonio artistico che oggi possiamo ammirare in questa Chiesa che è indubbiamente una fra le più antiche e belle del Friuli.
(2 – continua)
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In copertina e all’interno alcune delle bellissime opere di Tita Gori.